Urso contro Prodi: quando la Ford voleva comprare l’Alfa Romeo

Gaetano Cesarano

15/10/2023

15/10/2023 - 18:01

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Lo scontro a distanza tra Prodi e Urso sulle sorti dell’Alfa Romeo, quando era sotto l’egida Iri, riaccende i riflettori sui mancati investimenti della Ford nell’industria automobilistica italiana negli anni Ottanta.

L’industria automobilistica è un settore permeato da competizione, innovazione e, a volte, da sorprendenti intrecci aziendali. Uno di questi ci riporta a molti anni fa, e più esattamente al 1986, quando la Ford Motor Company tentò di acquistare l’Alfa Romeo.

Si tratta di una storia prepotentemente tornata alla ribalta nelle ultime ore dopo che Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, a margine del 38° convegno dei Giovani Imprenditori di Confindustria ha dichiarato:

Spero di poter dare buone notizie per quanto riguarda l’automotive italiano anche nella prossima settimana. Stiamo lavorando per recuperare la latitanza e gli errori dei precedenti governi che non intervennero in maniera significativa. Il grande errore della politica fu quando il presidente dell’Iri di allora (ndr Romano Prodi) decise di vendere l’Alfa Romeo alla Fiat e non accogliere l’investimento della Ford. Per questo oggi in Italia abbiamo un’unica casa automobilistica mentre gli altri Paesi, come Francia e Germania ne hanno da tre a cinque.

L’ex premier Romano Prodi non ha fatto attendere la sua replica:

Sono stupito per la lapidaria sicurezza con cui il ministro Adolfo Urso ha deciso di attribuire a me la responsabilità del fatto che in Italia abbiamo una sola casa automobilistica a causa della mancata acquisizione dell’Alfa Romeo da parte della Ford. Sono quindi costretto a rinfrescare la memoria su quel tratto di storia industriale del nostro Paese. Il mio obiettivo non è mai stato vendere alla Fiat l’Alfa Romeo: non sono mai stato un monopolista. Presi invece contatti con tutti i possibili acquirenti e solo la Ford si mostrò interessata. Le trattative, magistralmente condotte dai tecnici di Finmeccanica, approdarono ad una richiesta, da parte della Ford, di colloqui con me. Quando il loro piano fu pronto avvisai Alex Trotman, presidente di Ford Europa, che In Italia appena l’accordo fosse stato reso pubblico avrebbero reagito tutti sotto la spinta della Fiat: dai sindacati agli imprenditori. E così fu. La Ford aveva però deciso che non avrebbe offerto un solo dollaro in più. La Fiat si fece avanti mettendo sul tavolo più denaro e offrendo di comperare anche tutte le azioni, a differenza degli americani. A quel punto Finmeccanica non aveva alternative che vendere al miglior offerente, secondo gli obblighi di legge.

L’ex presidente dell’Iri rispondendo alle critiche del ministro Urso ha voluto anche sottolineare che: "La successiva gestione che la Fiat ha fatto dell’Alfa Romeo non ha raggiunto nessuno degli obiettivi proclamati e l’Alfa ha perso continuamente quote di mercato. Questa vicenda è nota, è stata raccontata molte volte e ho sempre scritto circa la sciagura italiana di avere una sola casa automobilistica che non ha evidentemente rispettato, nemmeno nel corso degli anni successivi, gli accordi sottoscritti con il Paese".

La proposta di acquisto dell’Alfa Romeo: Ford contro Fiat

Negli anni ’80, la Ford Motor Company iniziò a esplorare l’idea di espandersi ulteriormente nel mercato europeo, e l’Alfa Romeo sembrava un’opzione intrigante. Nel 1986, la Ford presentò una proposta di acquisto per Alfa Romeo all’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale). L’offerta, che ammontava a circa 2,4 miliardi di dollari, era un segno della crescente globalizzazione dell’industria automobilistica e dell’interesse della Ford per il marchio italiano.

L’idea di vendere l’Alfa Romeo a una società straniera provocò una forte opposizione in Italia. Il profondo attaccamento all’Alfa Romeo e alla sua storia di successi nel mondo delle corse e delle auto sportive sollevò molte polemiche contro la vendita dell’azienda, sostenendo che un marchio così prestigioso non sarebbe dovuto finire in mani straniere.

Nel settembre 1986 l’accordo tra Alfa Romeo e Ford sembrava praticamente concluso sulla base di una proposta d’acquisto del 20% del pacchetto azionario e l’impegno ad acquisire il 51% nei tre anni successivi. All’epoca l’Alfa Romeo poteva vantare un fatturato di oltre 2.000 miliardi di lire e due stabilimenti di produzione (Arese e Pomigliano d’Arco) con una forza lavoro complessiva di oltre 28.000 dipendenti. L’azienda italiana aveva però accumulato un deficit di 200 miliardi di lire tra il 1982 e il 1985

Sulla base di un presunto piano d’azione migliore di quello americano per risollevare le sorti dell’azienda, alla fine il governo italiano e l’Iri decisero di vendere l’Alfa Romeo alla Fiat, che acquisì tutte le quote azionarie grazie anche - secondo molti commentatori dell’epoca - a forti influenze politiche. Di fatto si agevolò l’espansione del gruppo torinese limitando però la competizione interna: un fattore che nel tempo si è rivelato penalizzante per l’industria automotive italiana.

Negli anni scorsi anche Luca Cordero di Montezemolo si dimostrò perplesso per la decisione: "La Fiat ha fatto un errore quando la Ford si dimostrò interessata ad acquisire l’Alfa Romeo: la concorrenza è un valore fondamentale".

La decisione dell’epoca fu probabilmente influenzata dal desiderio di preservare l’identità e il patrimonio dell’Alfa Romeo, ma Adolfo Urso sottolineando che personalmente avrebbe preferito una vendita alla Ford ha riportato la discussione ai giorni nostri:

Lo Stato francese in diverse forme è azionista sia di Renault sia di Stellantis e ha mantenuto più concorrenti nello stesso mercato. Anche in Germania la politica industriale è sempre stata accorta nel favorire la presenza di più produttori, tra loro in concorrenza. Nella scorsa legislatura, quando fu creata Stellantis, l’allora governo della sinistra preferì non proferir parola mentre gli altri attori garantivano i propri interessi nazionali, la storia è questa e non può essere riavvolta né smentita. Ora al lavoro, tutti insieme, per rilanciare l’automotive nel nostro Paese e consentire una piena riconversione industriale cogliendo la sfida della transizione elettrica, particolarmente impegnativa per l’indotto.

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